La nuova classe operaia

Quello che noi ragazzi non capimmo del mondo d’oggi fu l’industrializzazione della cultura, della comunicazione e della informazione. Il mondo imprenditoriale delegò a individui troppo ignoranti da poter immaginare di avere dei diritti la produzione delle cose palpabili: i vestiti, le auto, persino i computer e i cellulari. Allora si va nel terzomondo, come una volta: allora era la scusa della civilizzazione, oggi nei paesi che si sono affrancati dalla colonizzazione europea al prezzo di feroci dittature esportiamo la democrazia, e intanto fondiamo fabbriche dove spesso lavorano i bambini.

Allo stesso tempo, un po’ facendo lobby e un po’ ricattando tramite i propri giornali l’elitè politica, il mondo imprenditoriale si è preparato per togliere autoconsapevolezza alla nuova classe operaia. Sì: perché tutti noi, ragazzi e ragazze con un sogno da giornalista, da grafico, da tecnico informatico, persino da velina, non siamo davvero liberi professionisti. Ci manca l’autonomia che deriva da più consistenti guadagni, visto che siamo in troppi sul mercato e legati da contratti capestro e non-esclusive, mentre le tasse e i contributi sono a nostro intero carico: in altre parole è come se non ci fossero.

Certo, con la partita Iva i più fortunati possono anche smettere di lavorare, o fingere, o farlo quando vogliono, e mantenersi pronti alla pensione magari grazie a un piccolo deposito in banca. Ma per la maggior parte di noi, e penso ai laureati a trent’anni, a coloro che si sposano e poi – come recitano le statistiche – in media dopo dieci anni (il tempo di rendere governabile quel primo figlio senza il partner) divorziano, a coloro che comprano casa nel momento peggiore dall’inizio del dopoguerra, e che dunque si ritrovano con un mutuo onerosissimo fino ai 65-70 anni, beh la vita sarà spesso molto diversa da come se l’erano immaginata.

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