Nemesi

 “I must say that anyone who moved through those years without understanding that man produces evil as a bee produces honey, must have been blind or wrong in the head… I am thinking of the vileness beyond all words that went on, year after year, in the totalitarian states.”  William Golding

Per il più stupido dei miei racconti mi trovo costretto a confessare uno dei miei innumerati vizi: io scrivo. Scrivo dall’età di 14 anni, allorché uno dei miei tanti mezzi amici mi disse, quasi confessandomelo nelle reciproche congestioni nasali invernali, o forse in uno stato di quella che oggi so essere la commozione dialettica, che bisognerà pur mettere su carta i propri pensieri, quando li si ritenga vivi di noi, esemplari, e altrimenti inaccessibili alle nostre età future.

Poesie, sempre. Come un supplizio tantalico, arrivano a frotte, a volte in sogno, o in visione imbambolata sul terrore del muro bianco che è la pagina nuova. L’impatto è tale da essere assimilabile a una seduta terapeutica. Giungono, mandate da chissà quale musa; crescono, e infine vengono strappate al parto dall’aquila divina.
Questo è il contrappasso di un essere grossolano, grottesco, insensibile, anempatico. Chi altri se non l’elefante nella cristalliera può cantare e sublimare il proprio non corrisposto bisogno d’affetto? Ecco che tutti lo scansano, come il proverbiale cammello dei Romani: prima essere terribile, poi da canzonare. Infine utile: la caravella del deserto, così come le navi erano per Omero gli enormi cavalli del mare.

Ma non questo, no, quanto su come a me e a tanti altri come me si palesino i mezzi amici vorrei dire. Come quello già citato. Individui che vedono nel diverso, nel discriminato, anche se della discriminazione non se ne cura, un’opportunità per sé.
Ne ho incontrati tanti, nella mia vita nomade, zingara. Non esule, non mi sono mai spostato dal mio Paese.

Questi individui sono complementari alle Cassandre che avvicinano, ai Prometei che assecondano. Sono anch’essi distinti dalla folla, dalla massa, senza essere realmente dei leader. Potrebbero ambire al ruolo di capo, e capita che tramino contro il capo precedente, in una interminata sequela di cospirazioni che sono poi le note lotte per il Potere. Si dice che Marc’Antonio fosse il vero ispiratore dell’assassinio di Cesare da parte di quel nugolo di senatori, molti dei quali colpiti proprio dal dittatore nel loro interesse cravattaro ai danni del popolo. Ciò non impedì a Shakespeare di inscenare le cose in modo drammaticamente valido, tralasciando tanti particolari. Sono tragedie, non documentari.

Il marc’antonio, per chiamarlo così, è tenuto in disparte, per la sua irascibilità non incontenibile, ma scomoda, perversa. Se c’è una partita a calcio, la squadra non rinuncia a tenerlo, ma a debita distanza, in porta. Diverse volte, in diversi ambienti, m’è capitato di conoscere infatti portieri che avevano improvvise esplosioni d’ira. Ho sempre supposto, e non ho trovato una spiegazione alternativa, che questi accenni di schizofrenia fossero dovuti all’essere forzatamente lontani al centro dell’azione. Insomma, come i mariti cornuti, con buona pace degli arbitri, erano costretti a immaginare “le peggio cose” così, al buio, senza poter aspettare di ricevere dettagliato rapporto in spogliatoio.

L’arbitro, correndo, segue un’azione. Voi immaginate un arbitraggio condotto da una porta: diverrebbe oltremodo arbitrario. Insopportabile: l’insofferenza è la reazione alle loro pessime idee, una volta rivelate pubblicamente.

Questo li costringe ad assumere un atteggiamento, non innato ma utile, di manipolatori, per giustificarsi e per trovare inconsapevoli complici al loro agire. E qui entro in gioco io.

In quanto sempliciotto, sono la spalla ideale di un siffatto protagonista. Ma c’è una tassa amara da pagare. Per una persona semplice il mondo avrebbe più senso se non fosse perverso, corrotto, contorto. Penso che siamo su ciò tutti d’accordo.
E ciò non grazie a un mal riposto senso di superiorità morale, il che è una cretinata per alcuni altri di cui discorrerò forse in un prossimo pamphlet. Ma perché, a dirla tutta, il miglior bugiardo è colui che si limita alla verità, integra, e senza orpelli inventati.

Ecco che qui mi confesso pubblicamente: chi, se non il succitato supposto onesto, può risultare un indolente scioperato davanti alla necessità di rammentare tante menzogne? E quale verità nuda può dire la verità più di una bugia finalmente maledetta da chi l’ha subita?

No, signori: questa che abbiamo avanti a noi è pura pigrizia intellettuale!

Immaginiamo allora il maneggione ordire un intrigo, confidando nella sua mente peccaminosa sulla complicità inconsapevole del semplice, amico suo, che ha circuito precedentemente per ottenerne il fianco, la fedeltà. Gli dirà tutto? Assolutamente: essendo il marc’antonio incapace di capire le conseguenze delle sue perversioni sociali, non potrà immaginare quale tremenda delusione può scaturire nello strumento dei suoi traffici.

Ma si dà il caso che vi possa essere una acclarata esperienza, per continui tentativi andati a vuoto. L’intrallazzatore, a quel punto, da bugiardo si trasforma in manipolatore seriale. Le sue bugie, prima prodotte industrialmente, diventano rarità. La reticenza è adottata quale virtù. Appare come uno che si impiccia dei fatti propri, e che altri sono andati a cercare.

Il cerchio, per così dire, si chiude. Il giovane irascibile, tenuto a distanza dai compagni di squadra, dunque relegato in porta, si è affezionato alla sua cella carceraria psichica. Non lo smuovi: oh, men che meno una moglie, e infatti non si sposano nemmeno. Diventa un vecchio corrotto che ricatta i propri corruttori. Le logge massoniche sono piene di tali soggetti, che le organizzano. Egli è anticomunista o antifascista a seconda della compagnia da circuire. Si crede uno stratega, ruolo che lo giustifica nella sua ingratitudine, e agisce per tale.

Ma l’antica irascibilità cova sotto la cenere. Come una ferita, che duole sempre. Allora il “Poeta suo malgrado” comprende come l’aquila di Zeus gli abbia insegnato un metodo. E va dal mezzo amico, e comincia a premere, e premere, e premere, con metodo.

Finché il vulcano di malvagità non esplode, purulento, ed esplodendo non svuoti se stesso, trovandosi con in mano solo un pugno di mosche. Che poi è il solito destino di sta gente….

Il signore delle mosche.

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